La TA è pratica, e da un certo punto di vista è una pratica come altre, e quando ne parlo con le persone spesso mi dicono: ah ho capito cosa vuoi dire! è come lo yoga! oppure, è come… ! ecc…
Anche se ci sono elementi per mettere in relazione queste pratiche tra loro (e può essere utile, interessante e un campo di esplorazione a sé stante), pensarla solo in questi termini è fuorviante, poiché non ci permette di vedere cosa ognuna sia veramente.
Questo può già mostrare la comune abitudine di voler immediatamente trovare una risposta a una domanda, invece che lasciare lo spazio aperto a ciò che non conosciamo. In questo esempio il punto di partenza è che non sappiamo cosa sia la tecnica Alexander, eppure ci sentiamo spinti a definirla.
Una delle domande che ci muovono nella TA potrebbe essere proprio questa: come possiamo vedere le cose così come sono, dove la “cosa” principale cui guardiamo è noi stessi, l’essere umano?
Sospendendo i nostri modi abituali di guardare, reagire, pensare, e facendo spazio a ciò che non è necessariamente possibile definire o categorizzare, ma che nondimeno troviamo nell’esperienza ed è in noi, e che negli altri trova riflesso.
Il contatto e l’insegnamento della tecnica Alexander (sia attraverso le mani che il linguaggio verbale) sono sviluppati e trasmessi con l’obiettivo di non manipolare qualcosa nella persona con cui stiamo lavorando, imponendole una postura o punto di vista, ma per facilitare la capacità di attingere a quella proprietà riflessiva che condividiamo.
Così per alcuni momenti di tanto in tanto, e di nuovo nella pratica, possiamo aprirci alla possibilità di scoprire qualcosa che non conosciamo, qualcosa che si dispiega e non è mai fisso, qualcosa di nuovo.
ENG
AT is practical, and from one point of view is just a practice like others, and when I talk to people, they often say: ah I understand what you mean! it’s like yoga! or, it’s like that…! etc…
Even though there are elements for relating these practices among each other (and it can be useful, interesting, and a field of exploration on its own), only thinking about it in these terms, is misleading because it doesn’t allow us to see what they really are.
This can also show how it is our habit to immediately find an answer to a question, of how, we are not so able to leave the space open to the unknown, like in this example, our starting point is that we don’t know what the Alexander technique is, yet we feel compelled to define it.
One of the moving questions in AT, could be said to be exactly this: how can we see things just as they are, the main “thing” we look at being the self, the human being?
By suspending our habitual ways of looking, reacting, thinking, and making space for what is not possible to define or “put in a box” but is nevertheless experienced in us, and that in others finds reflection.
The contact and teaching of the Alexander technique (both through hands and verbal language) are developed and taught with the aim of non-manipulating something onto the person we are working with, imposing a view, but through this contact we can tap into that reflective property we share, and for moments opening into the possibility of discovering something we don’t know, something unfolding and never fixed, something new.